La dott.ssa M. Mauro ci racconta quali sono le buone prassi per comunicare ai bambini una diagnosi di DSA:
Molti genitori hanno paura che "etichettare" un bambino come Dislessico o Disgrafico lo farà sentire a pezzi. Non credo proprio, in realtà è vero il contrario, lo dico sempre ai genitori che incontro. Dare al bambino una comprensione della natura delle sue difficoltà di apprendimento lo conforterà e lo motiverà a superare le sue sfide.
Ecco una situazione in cui mi sono trovata nei giorni scorsi:
Un genitore è arrivato al mio centro per chiedere una rivalutazione per suo figlio, che aveva già una diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento ( Dislessia e Discalculia).
Ha fatto una strana domanda:
"Vedo che nel corridoio c’è un cartello che parla di Dislessia e la cosa mi preoccupa. Cosa penserà mio figlio quando lo porterò qui e vedrà scritta quella parola???
Mio figlio non sa di avere un disturbo dell'apprendimento e noi non vogliamo che lo sappia".
Ho risposto: “Lo sa, signora. Mi creda, lo sa.”
Ho pensato a lungo alla riluttanza di quel genitore a discutere con il proprio figlio della diagnosi.
La consapevolezza di avere una condizione identificabile, comune, misurabile e trattabile è spesso di grande conforto per gli studenti.
Se un bambino non ha una comprensione di base della natura delle sue difficoltà di apprendimento, è probabile che creda alle prese in giro dei suoi compagni di classe e si senta di essere davvero un incapace.
Poiché è confuso sulla difficoltà che sta vivendo a scuola, è improbabile che sia motivato e in grado di impegnarsi in modo efficace nei suoi studi.
Quando si arriva a una diagnosi di DSA ( Dislessia, Disgrafia, Discalculia) è fondamentale spiegare al bambino che cos'è il disturbo e che cosa non è.
Spesso si scopre che ha molte idee sbagliate a riguardo ("Significa che sono stupido"; "Non sarò mai capace di leggere"; “Sparisce alle superiori”), è importante invece chiarire e correggere questa disinformazione.
Provo a dare qualche consiglio:
1) Durante queste discussioni, sottolineate i punti di forza e le potenzialità del bambino, e non concentratevi semplicemente sulle sue debolezze e difficoltà. Esprimete ottimismo sul suo sviluppo e sul suo futuro.
2) Ricordate a vostro figlio che può davvero imparare, in un modo unico ma che potrebbe richiede più tempo per arrivare a padroneggiare le abilità rispetto ai suoi compagni di classe. Ricordategli che “la corsa finirà ", si tratta di percorrere strade diverse per arrivare allo stesso traguardo.
3) Siate un modello positivo. Parlate delle vostre difficoltà di apprendimento e delle sfide che avete affrontato, raccontando le strategie usate, anche le più bizzarre. Queste informazioni possono essere davvero confortanti per un bambino.
Non trovo utile citare solo personaggi famosi con problemi di apprendimento, come Einstein o Leonardo Da Vinci, per ispirare e motivare un bambino.
Trovo che funzioni di più citare persone che il bambino conosce bene, come esempi ispiratori: "Sai che anche lo zio aveva problemi a scuola? Ci metteva una vita a fare i compiti e ha ancora adesso ha difficoltà a scrivere, fa un sacco di errori quando manda i messaggini alla fidanzata. Ma ora ha un lavoro fantastico! E gli piace cucinare, proprio come a te, nessuno fa una pasta con i würstel più buona della sua!"
Insomma, il bambino spesso si sente molto sollevato quando si rende conto che le sue difficoltà hanno un nome e che altri hanno problemi simili.
Cosa importante è che queste spiegazioni vengano date in modo sensibile e appropriato all'età e non dovrebbero essere comunicate tutte insieme, in un'intensa sessione di "discutiamo della tua difficoltà di apprendimento".
Piuttosto, dovreste discutere con lui in modo graduale, informale e sequenziale.
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